IL TRIBUNALE A scioglimento della riserva assunta in data 17 dicembre 2012 nella controversia iscritta al R.G.E. n. 5886/2010 promossa da Musella Maria (creditore procedente) rappresentata e difesa dall'avv. Ubaldo del Mese in danno di ASL Napoli 1 Centro (debitore esecutato) nonche' di Banco di Napoli spa (terzo pignorato), visti gli atti ed i verbali di causa, ritenuto che: nella presente procedura esecutiva la debitrice esecutata ASL Napoli 1 Centro - opponendosi ritualmente all'azione esecutiva intentata a suo danno - all'udienza del 17 dicembre 2012 chiedeva ai sensi e per gli effetti dell'art. 1 comma 51 della legge 12 dicembre 2010 n. 220 si' come recentemente modificata con l'art. 6-bis della legge 8 novembre 2012 n. 189 (legge di conversione del d.l. 13 settembre 2012 n. 158) dichiararsi l'improcedibilita' del pignoramento effettuato. Controdeduceva il creditore procedente sollevando, tra l'altro, sospetti di legittimita' costituzionale della centrata normativa. Il G.E. assuntane la rilevanza - in ragione della necessaria applicabilita' della stessa ai fini della decisione del presente giudizio - ne passa a valutare la fondatezza (rectius la non manifesta infondatezza). Simile valutazione verra' evidentemente guidata dal conclamato orientamento di Sezione (cfr ex multiis ordinanza dott. Rossi del 18 novembre 2011 R.G.A.C. 8623/11) - partecipato convintamente anche da questo giudicante - e dal suo adeguamento alla sopravvenuta modifica normativa (legge n. 189/12). Resta in altre parole da valutare se le modifiche introdotte al gia' sospetto (e per questo devoluto al giudizio di costituzionalita') disposto normativo di cui all'art. 1 comma 51 legge n. 220/10 (gia' interessato da prime modifiche a mezzo dell'art. 17, quarto comma del d.l. 98/11 convertito con legge n. 111/11) confermino l'operato giudizio di fondatezza ovvero lo escludano. A tal fine e' forse consigliabile una breve descrizione del risalente regime e delle sue rilevate criticita' in confronto al dettato costituzionale. Gia' prima dell'ultimo intervento del novembre u.s. il Legislatore - al fine di consentire il superamento di una situazione di criticita' finanziaria dell'amministrazione sanitaria in specifiche realta' regionali - aveva decisamente imboccato un percorso finalizzato a riconoscere alle aziende sanitarie locali ed ospedaliere delle regioni gia' sottoposte ai piani di rientro e commissariate al 31 maggio 2010 un regime privilegiato di esenzione dalle azioni espropriative loro dirette. Siffatto regime si sarebbe concretizzato nella «temporanea» inammissibilita' di espropriazioni successive all'originario intervento normativo ovvero di improcedibilita' di quelle gia' pendenti. In ogni caso, era stato chiarito, in una totale e definitiva «sterilizzazione» degli effetti della procedura espropriativa ancora non definitasi, e cio' a prescindere dal suo momento introduttivo (ovvero sia esso risalente o meno all'entrata in vigore della norma disponente). Oltretutto gli effetti caducatori si' insanabili avevano a verificarsi a fronte di mere caratteristiche soggettive (enti sanitari di individuate regioni) per l'intero patrimonio (che veniva considerato tutto bene strumentale alle finalita' di risanamento finanziario), a prescindere da qualsivoglia prescrizione amministrativa vincolata (adozione di provvedimenti di ricognizione dei debiti a pena di decadenza dal privilegio) assumendo progressivamente carattere tutt'altro che temporaneo (attesa la prassi di reiterazione continuativa ed apodittica del termine finale). In sostanza al fine di recuperare situazioni gestionali e finanziarie altamente squilibrate si e' inteso introdurre un regime normativo (spesso ad iniziativa dell'esecutivo con decretazione di urgenza) di potenzialmente illimitato privilegio soggettivo, del tutto scollegato da criteri ed elementi vincolanti dell'azione amministrativa. Anche a voler considerare il fine ultimo della introdotta normativa un valore collettivo cui piegare diritti soggettivi dei singoli, siffatta compressione e' apparsa assolutamente irragionevole, non giustificata e tutt'altro che temporanea. Per l'effetto questo Tribunale ha ritenuto di rilevare la non manifesta infondatezza di incostituzionalita' della normativa previgente alla legge n. 189/12 con riferimento ai seguenti principi: a) art. 24 Cost.; b) art. 3 Cost.; c) art. 111 Cost.; d) art. 41 Cost.; con le motivazioni gia' al vaglio del Giudice di Legittimita' (udienza del 27 marzo 2013 registro ordinanze n. 58/12 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 16 del 18 aprile 2012). Resta ora da valutare l'impatto sulle risalenti valutazioni delle innovazioni normative avutesi a mezzo il disposto di cui all'art. 6-bis legge n. 189/12. Questa norma consta di due distinte disposizioni sub a) e sub b). Il punto sub a) ancorche' rilevante nella portata precettiva nulla aggiunge al regime gia' in precedenza operante. Si potrebbe dire che l'innovazione e' quantitativa e non qualitativa. Il Legislatore sostanzialmente «stabilizza» ancor di piu' nel tempo (31.12.13) il privilegio accordato all'amministrazione sanitaria (confortando in tal modo la valutazione giurisprudenziale di sostanziale illimitatezza gia' operata) e risolve positivamente il conflitto giurisprudenziale circa l'inclusione del c.d. «giudizio amministrativo di ottemperanza», ancorche' lo stesso appariva ormai in via di definizione e proprio in tal senso. Ben piu' rilevanti sono invece le novita' introdotte al punto sub b), ancorche' le stesse non sembrano incidere granche' ai fini che qui interessano. Dalla corretta esegesi della norma emerge chiaramente la volonta' del Legislatore di reimmettere nella immediata disponibilita' del debitore esecutato tutte le somme lui provenienti da rimesse regionali, ancora attratte da vincoli pignoratizi e prenotazioni a debito. Con ogni probabilita' l'intervento e' stato dettato dall'esigenza di superamento dei conflitti interpretativi che il testo meno univoco della risalente normativa lasciava aperti e che avevano consentito, a taluni istituti tesorieri, di far perdurare (anche solo a fini cautelativi) i vincoli in essere alla data di entrata in vigore della norma. E', tuttavia, inequivocabile che simile disposto e' indirizzato non al magistrato (per il quale vige immutata la prescrizione di declaratoria di improcedibilita'/inammissibilita' dell'azione espropriativa) ma alla regimentazione del rapporto terzo pignorato/debitore esecutato. Ne e' dimostrazione il richiamo alla categoria atipica della «estinzione di diritto» riferito a fattispecie meramente endoprocedimentali (i vincoli derivanti da pignoramenti e prenotazioni a debito). E' infatti chiaro che l'utilizzo del termine «pignoramenti» non puo' essere inteso in senso tecnico/procedimentale e cio' sia perche' si porrebbe in contrasto con il precedente comma (le espropriazioni o sono inammissibili/improcedibili o estinte di diritto) e sia perche' non esiste una procedura espropriativa denominata «prenotazione a debito» che la normativa parifica negli effetti proprio al pignoramento. In definitiva il Legislatore ha ritenuto di chiarire al terzo pignorato che in alcun modo potevano essere giustificate quelle interpretazioni normative che gli consentivano di trattenere le somme provenienti da rimesse regionali e che le stesse andassero prontamente reimmesse nella piena disponibilita' dell'ente addirittura «senza previa pronunzia giurisdizionale» affinche' costui espletasse «le finalita' indicate nel primo periodo». Evidenziata cosi la portata della evoluzione normativa, deve convenirsi sulla sua scarsa incidenza su quegli aspetti che ne hanno determinato la valutazione di non manifesta inammissibilita' ai fini della incostituzionalita', se non consolidandoli in termini postivi. Il Legislatore ha, difatti stabilizzato, prorogandoli in termini temporali, gli effetti, ha, quindi, trasfuso in legge quei concetti gia' elaborati in sede giurisprudenziale la cui progressiva caratterizzazione in termini maggiormente stringenti aveva indotto questo Tribunale a promuovere l'incidente di costituzionalita'. Sulla scorta della cennata innovazione legislativa e' divenuto, difatti, espresso dato normativo quell'effetto caducatorio definitivo sino ad allora ricavato solo a livello meramente interpretativo. Quindi il regime di esenzione e' stato espressamente esteso al rito amministrativo di ottemperanza - e cio' a prescindere dalle valutazioni giurisprudenziali relative alla sua intima natura (esecutiva o cognitiva) - nella fattispecie di esecuzione di giudicato di condanna. A cio' consegue come, all'attualita', vada ribadito il pericolo di contrasto della normativa vigente su tutti gli aspetti costituzionali gia' rilevati, ed ulteriormente stabilizzati e definiti, che si vanno analiticamente a richiamare: Art. 24 - dato per assunta l'applicabilita' del principio costituzionale al processo esecutivo inteso come fase necessaria alla concreta realizzazione del diritto ne va evidenziata la probabile lesione avendo riguardo ai seguenti rilievi. La compressione del diritto di agire in giudizio appare abnorme ove si consideri il carattere assoluto della dispensa sotto il profilo oggettivo. Non vi e' difatti dimostrazione di proporzionalita' tra il valore ultimo che si dice di voler salvaguardare e l'oggetto concreto di tutela (intero patrimonio dell'ente). L'assoluta integrita' patrimoniale connessa ad una esenzione «soggettiva» e' certamente una comodita', ma sicuro eccesso di tutela ove non si provveda a rapportarla, in un nesso strettamente eziologico, al fine che si vuole raggiungere. Ne' la limitazione imposta appare tollerabile sotto il profilo della sua «transitorieta'» soprattutto dopo l'ennesima proroga che prolunga sino al 31 dicembre 2013 (ovvero 43 mesi continuativi salvo ulteriori) il termine finale. Simile tecnica legislativa appare, per dirla con il TAR Calabria - Reggio Calabria (ordinanza di remissione 16 gennaio 2013 n. 42), «un meccanismo elusivo al quale il Legislatore ricorre per rendere in apparenza piu' digeribili delle misure legislative volte in concreto a disattivare a tempo indeterminato..... l'efficacia del diritto ordinario». Sotto altro aspetto la lesione del precetto costituzionale va ravvisata sotto il profilo della irragionevolezza della disposizione limitativa del diritto ad agire. Cio' soprattutto in sede di raffronto con risalenti discipline gia' disponenti vincoli di impignorabilita' di beni nella disponibilita' di amministrazioni sanitarie (d.l. 9/93 convertito in legge n. 67/93 si come risultante a seguito della pronuncia additiva Corte Cost. n. 285/95). Non puo' sfuggire come in simile regime normativo la tutela «copra» i beni (somme di denaro) strettamente strumentali al raggiungimento degli scopi perseguiti (pagamento stipendi, ratei mutui e erogazione servizi essenziali), sia preceduta da un provvedimento amministrativo di impegno (delib.ne di quantificazione preventiva) e sia comunque condizionata risolutivamente dal riscontro del loro effettivo virtuoso utilizzo. L'impignorabilita' e' destinata a venire meno ove l'ente distragga provviste per finalita' ultronee a quelle salvaguardate dalla legge (emissione di mandati di pagamento per titoli diversi a quelli vincolati in dispregio dall'ordine cronologico). Solo una fattispecie cosi' strutturata - con la imposizione di attivita' amministrativa non discrezionale e successiva concreta possibilita' di controllo ex post della effettuata attuazione della finalita' pubblicistica - e' stata ritenuta idonea al vaglio di costituzionalita', in quanto equamente comparativa degli interessi in giuoco. Nel caso di specie si ravvisa, viceversa, la mancanza di meccanismi analoghi (pur potenzialmente strutturabili), il che comporta una assoluta sproporzione tra gli interessi contrapposti. Potenzialmente l'amministrazione sanitaria ben potrebbe giovarsi del combinato effetto di tanta tutela ed immutata discrezionalita', non per onorare i suoi debiti, ma per sottrarsi ad essi «sine die». Addirittura al creditore postergato non sarebbe nemmeno consentito quel surrogato dell'azione giudiziaria costituito da un minimo controllo di legalita' e di correttezza sull'operato di ricognizione della p.a. debitrice. Costui a distanza di svariati anni dalla introduzione del regime di impignorabilita', con il quale gli e' stato d'autorita' imposto di pazientare, non e' stato posto in condizione nemmeno di monitorare la stessa ammissibilita' (ancorche' sulla scorta di criteri obiettivi ed automatici) a futuro pagamento della vantata posizione creditoria. Ma la ravveduta ipotesi di incostituzionalita' emerge ancor piu' in costanza di espropriazione gia' intrapresa all'atto di entrata in vigore della legge n. 220/10. Il regime di vanificazione retroattiva di ogni effetto dell'azione esecutiva pendente (e quindi validamente introdotta «ratione temporis») - disposto ormai positivamente ed inequivocabilmente - in conseguenza della prescritta declaratoria di improcedibilita', comporta un chiaro pregiudizio anche di natura patrimoniale. Apparira' evidente che, in uno alla perdita della garanzia di soddisfazione della partita creditizia azionata (il vincolo), il creditore si trova a dover sopportare gli oneri connessi agli esborsi (spese e competenze di difesa) sostenuti per attivita' processuali perfettamente legittime che non si sono perfezionate in «tempo utile» per le eventualita' piu' disparate e, spesso, indipendenti dalla sfera di influenza dell'attore. Ne' l'inibizione giudiziale introdotta puo' essere ritenuta (con notevole esercizio di interpretazione analogica) una procedura alternativa, di carattere concorsuale, che si sostituisce - comprimendola nell'ottica di una «par condicio creditorum» - all'azione individuale. Osta a tale interpretazione in primo luogo lo scarno contenuto della norma - laddove quando il Legislatore ha ritenuto di introdurre istituti similari ha elaborato pienamente ed inequivocabilmente il relativo concetto - e, quindi, l'analisi di quegli elementi qualificanti di cui appresso, la cui assenza impedisce ogni sforzo interpretativo in tal senso. In primo luogo la individuazione di un ben determinato sbarramento temporale cui limitare il regime concorsuale di risanamento. Non si puo' in sostanza aprire una procedura concorsuale consentendo al soggetto insolvente di continuare a fare debiti, garantiti dalla protezione concorsuale, pendenti le attivita' liquidatorie. Nello stesso dissesto degli enti locali la data della sua dichiarazione costituisce il discrimine tra le obbligazioni precedenti attratte dall'attivita' liquidatoria concorsuale e tutelate dall'inibizione di tutela giudiziaria e quelle successive disciplinate secondo un regime ordinario. In secondo luogo la prescrizione di un articolato procedimento amministrativo/giudiziale di accertamento e liquidazione della massa passiva caratterizzato da specifici incombenti, cronologicamente cadenzati, e dalla presenza attiva di organi ed autorita' terze, il tutto a tutela del principio della par condicio cui, in ultima analisi, e' piegato il diritto di credito individuale. E' proprio nel rispetto degli eventi di procedura (ovvero della loro correttezza, tempestivita' e legittimita') che si estrinseca quel controllo di legalita' ad opera del creditore singolarmente inibito cui e', in ultima analisi, concesso rituale rimedio e facolta' di impugnativa. ln definitiva la disomogeneita' e' qualitativa e non permette analogia. Mentre la procedura concorsuale e' un limite finalizzato al rispetto del principio della par condicio creditorum (e quindi indirettamente del creditore stesso), l'impignorabilita' ex lege n. 220/10 e' un limite finalizzato alla esclusiva tutela di parte debitrice. Art. 3, comma I - detto precetto appare oggetto di violazione sotto un duplice aspetto. In primo luogo in quanto a fronte della improcedibilita' della presente azione esecutiva il diritto di credito, oltretutto fondato su titolo giudiziario esecutivo ed avente valore di giudicato, e' subordinato all'adozione di atti amministrativi aventi natura previsionale e programmatica la cui adozione non e' nemmeno imposta a pena di decadenza dalla tutela (e quindi meramente eventuale). Per l'effetto il creditore, ove radicato nelle specifiche realta' regionali, si trova nella sostanziale impossibilita' di realizzare liberamente la propria attivita' economica onde ricavarne giusto profitto (si rammenti che specifiche attivita' economiche impongono esclusivita' commerciale in ragione di collocazione territoriale - ad. es. farmacie e/o strutture accreditate). Cio' in tangibile discriminazione con altre realta' ubicate in altre regioni nelle quali simile impedimento non sussiste. Realta' oltretutto tra di loro in diretta concorrenza quantomeno sotto il profilo dei prezzi (si rammenti il concetto dei costi standard della p.a.) e dei costi di approvvigionamento dai medesimi grossisti (il tempo di pagamento e' grandezza economicamente valutabile nei rapporti commerciali continuativi). In secondo luogo rispetto ai soggetti cui la norma e' rivolta, che sono individuati, non in considerazione della loro effettiva necessita' di tutela ai fini del raggiungimento del riequilibrio economico finanziario, ma in base alla mera collocazione geografica. Siffatto criterio si rileva palesemente grossolano e si riconduce a quella carenza di proporzionalita' gia' illustrata. E' risaputo che specifiche amministrazioni sanitarie ancorche' rientranti in ambiti regionali compromessi non versino, ne abbiano mai versato, in difficolta' economiche. Art. 111 - Simile eguale trattamento normativo di realta' disomogenee avvalora quella ricostruzione giuridica di ravvisamento di un vero e proprio sistema di privilegio processuale ove l'ente pubblico (oltretutto parte attiva dell'introduzione della fonte sospetta - cfr i testi concordati in sede di conferenza stato regione e le ripetute iniziative normative quasi sempre ad iniziativa del governo ente commissariante) sovverte le condizioni ordinarie della dinamica processuale esecutiva si' come delineata dal codice di rito. Sovvertimento ancor piu' irragionevole tenuto conto dello specifico rimedio della impignorabilita' finalizzato all'espletamento dei servizi pubblici essenziali (ex d.l. 9/93 e succ. modifiche gia' citato) espressamente consentito alle aziende sanitarie, che continua ad operare e si cumula - con conseguenze esponenzialmente deleterie - a quello attualmente oggetto di analisi. Oltretutto siffatto preesistente rimedio, correttamente modulato, ben avrebbe potuto assicurare lo stesso fine del riequilibrio si' sproporzionatamente perseguito. D'altronde la violazione del principio del giusto processo e' ravvisabile, oltre che nella disparita' delle armi tra i contendenti in lite, anche in relazione alla ragionevole durata del processo stesso. Non potra' non convenirsi che i gia' citati 43 mesi, salvo ulteriori prevedibili proroghe (che vanno saldati ad altri due risalenti con minima soluzione di continuita' - cfr. art. 1, comma 23-vicies d.l. 30 dicembre 2009 n. 194 poi modificato con legge 26 febbraio 2010 n. 25), costituiscono una gravissima lesione del precetto costituzionale. Cio' anche in considerazione della assenza di previsione normativa di alcun meccanismo di garanzia del fornitore quando costui subisce a sua volta (legittime) aggressioni giudiziarie. Anzi in tal caso i successivi interventi normativi - anche di iniziativa comunitaria - volti ad incalzare e penalizzare i ritardi nell'adempimento delle transazioni commerciali e la riscossione di tributi e contributi da parte dell'erario, colpiscono oltremodo chi incolpevolmente non riesce a recuperare quella provvista necessaria a far fronte alle contratte esposizioni. D'altronde e' ormai acclarato come la valutazione in ordine al concetto di ragionevolezza vada connesso non gia' alla specifica vicenda processuale (eventualmente terminata con celere declaratoria di improcedibilita'), bensi' con riferimento alla pretesa sostanziale fatta valere in giudizio, ossia sul tempo processuale globalmente occorrente ad ottenere la concreta realizzazione del bene della vita per cui si e' invocata tutela, essendo totalmente indifferente che per quella pretesa sia stato necessario proporre in successione una pluralita' di azioni. Art. 41 - Si ravvisa inoltre una lesione al principio di liberta' nell'esercizio della iniziativa economica privata. L'impossibilita' anche solo temporanea (ci si figuri nell'accezione che il termine ha di fatto assunto) di conseguire coattivamente una pretesa pecuniaria da parte dell'imprenditore - che oltretutto spesso opera in regime di quasi esclusivita' con l'amministrazione sanitaria - e' elemento disgregante l'esercizio di impresa. Si interrompe di fatto quella catena che consente all'operatore intermedio di conseguire quella provvista necessaria a rifornirsi dei beni strumentali al suo servizio economico cosi' travolgendo la sua stessa capacita' economica. D'altronde l'impossibilita' gia' riferita di poter anche solo controllare la ammissibilita' del credito vantato, in sede di ricognizione amministrativa (di fatto mai avviata non avendo la opponente fornito prova di aver adottato simile incombente) impedisce addirittura la mera pianificazione della propria attivita'. Lo stesso ricorso al credito e' di fatto inibito dalla indisponibilita' degli intermediari finanziari (banche e/o factoring) a rischiare risorse in mancanza di certezze circa l'an ed il quantum della restituzione. Tutto cio' come detto in un sistema complessivo che, giustamente, impegnato sempre piu', a garantire (ad altri) la celerita' e la facilita' di riscossione, si risolve, esso stesso, in un ulteriore ostacolo all'attivita' di quell'operatore economico rapportatosi con l'amministrazione sanitaria agevolata. Art. 77, comma II - e' rilevabile, inoltre, una violazione di carattere metodologico connesso alla assoluta estraneita' del precetto normativo di cui all'art. 6-bis legge n. 189/12 (legge di conversione) al testo originariamente disposto dal d.l. 158/12. In sostanza, la illustrata normativa di proroga e di inasprimento del regime di impignorabilita' e' stato introdotto solo in sede di conversione (emendamento 6.01 a firma dei relatori Barani-Turco discusso ed approvato in sede referente dalla XII Commissione «Affari Sociali» della Camera dei Deputati), nel corpo di un provvedimento normativo dal contenuto palesemente disomogeneo ed in un contesto di assenza di quei requisiti di necessita' ed urgenza imposti alla tipologia della fonte. Per giurisprudenza ormai consolidata, la Corte Costituzionale ha individuato «tra gli indici alla stregua dei quali valutare se risulti evidente o meno la carenza del requisito della straordinarieta' del caso di necessita' e d'urgenza di provvedere, la evidente estraneita' della norma censurata rispetto alla materia disciplinata da altre disposizioni del decreto legge in cui e' inserita» (cfr sent. n. 22 del 16 febbraio 2012 richiamante espressamente risalente 171/07 e 128/08). Deduce il Giudice di Legittimita' che «l'inserimento di norme eterogenee all'oggetto o alla finalita' del decreto spezza il legame logico giuridico tra la valutazione fatta dal governo dell'urgenza del provvedere ed i provvedimenti provvisori con forza di legge, di cui alla norma costituzionale citata.» E conclude che «si deve ritenere che l'esclusione della possibilita' di inserire nella legge di conversione di un decreto legge emendamenti del tutto estranei all'oggetto ed alla finalita' del testo originario non risponda soltanto ad esigenze di buona tecnica normativa, ma sia imposta dall'art. 77, secondo comma Cost., che istituisce un nesso di interrelazione funzionale tra decreto legge, formato dal Governo ed emanato dal Presidente della Repubblica, e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare rispetto a quello ordinario». In definitiva, la violazione del precetto costituzionale non deriva dalla concreta assenza dei presupposti di necessita' ed urgenza delle norme eterogenee introdotte in sede di conversione, ma «.... per l'uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce, con speciali modalita' di procedura, allo scopo di convertire, o non, in legge un decreto legge.» E la circostanza non appaia di scarsa importanza e di mero formalismo, ove si considerino le peculiarita' procedimentali che il dettato costituzionale consente alla fonte di conversione. Innanzitutto il disegno di legge di conversione appartiene alla competenza riservata del Governo, che deve presentarlo alle Camere il giorno stesso della emanazione del decreto. Anche i tempi del procedimento sono particolarmente rapidi, giacche' le Camere, anche se sciolte, sono convocate appositamente e si riuniscono entro cinque giorni. Gli stessi regolamenti delle Camere prevedono norme specifiche mirate a calendarizzare i lavori, in modo di consentire la conversione in legge entro il termine costituzionale di sessanta giorni. E' di tutta evidenza come non puo' essere costituzionalmente legittimo utilizzare un mezzo si' spedito per veicolare quel che la mera contingenza consiglia. Nel caso di specie emerge palese la ultroneita' dell'argomento successivamente introdotto ed afferente concetti di proroga del regime di esenzione dalle azioni esecutive promosse in danno agli enti sanitari, rispetto alla norma originaria contenente «disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del paese mediante un piu' alto livello di tutela della salute - C. 5440». Tale disciplina afferiva precipuamente una migliore organizzazione e razionalizzazione dell'attivita' assistenziale e sanitaria e, non a caso, veniva affidata, in sede referente, alla Commissione XII «Affari Sociali» della Camera. Ove cio' non convincesse completamente e' forse decisiva l'analisi dei lavori preparatori della stessa, nell'ambito dei quali, in sede di seduta di approvazione dell'emendamento specifico (4 ottobre 2012), ben quattro componenti si premuravano avanzare perplessita' circa la materia trattata. Chi per ricondurla alle competenze di altra Commissione (bilancio) chi per rilevare come «l'articolo aggiuntivo rechi misure pertinenti propriamente ad una legge di stabilita'». D'altronde tutte le molteplici precedenti attivita' normative di introduzione e proroga dell'istituto sono sempre state adottate a mezzo leggi di stabilita' ovvero manovre correttive e/o di stabilizzazione dei conti pubblici e, sempre, espressamente previste gia' in sede di decretazione di urgenza e poi oggetto di conversione. Non sfugga poi la ulteriore circostanza confermativa costituita della introduzione di testo assolutamente analogo in sede di disegno di legge di stabilita' anno 2013, testo poi abrogato, a mezzo l'approvazione di successivo emendamento, per essere gia' vigente con l'entrata in vigore della legge n. 189. Tutte le argomentazioni sin qui evidenziate convincono della non manifesta infondatezza della questione di illegittimita' dell'art. 1, comma 51, legge n. 220/10, si' come risultante a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 189/12, per contrasto con gli artt. 3 comma I, 24, comma I, 41, 111 comma II e 77 comma II della Costituzione nella misura in cui vieta di intraprendere e proseguire le azioni esecutive nei confronti delle regioni commissariate per disavanzo nel settore sanitario. Rinviando, per quanto attiene la delibazione circa la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale a quanto in limine di provvedimento rilevato, si ribadisce come solo a siffatto pronunziamento di incostituzionalita' possa conseguire il rigetto delle eccezioni sollevato dalla opponente ASL Napoli 1 Centro e l'assegnazione giudiziale dei crediti vantati dal creditore procedente. Viene pertanto sollevata alla Consulta la soluzione dell'incidente di costituzionalita' con le modalita' di cui all'art. 23 legge 11 marzo 1957 n. 83, e per l'effetto si dispone la sospensione della presente procedura. Tale decisione e' assorbente ogni altra sollevata questione.