IL TRIBUNALE 
 
    A scioglimento della riserva assunta in  data  17  dicembre  2012
nella controversia  iscritta  al  R.G.E.  n.  5886/2010  promossa  da
Musella Maria (creditore procedente) rappresentata e difesa dall'avv.
Ubaldo del Mese in danno di ASL Napoli 1 Centro (debitore  esecutato)
nonche' di Banco di Napoli spa (terzo pignorato), visti gli atti ed i
verbali di causa, ritenuto che: 
      nella presente procedura esecutiva la debitrice  esecutata  ASL
Napoli  1  Centro  -  opponendosi  ritualmente  all'azione  esecutiva
intentata a suo danno - all'udienza del 17 dicembre 2012 chiedeva  ai
sensi e per gli effetti dell'art. 1 comma 51 della legge 12  dicembre
2010 n. 220 si' come recentemente modificata con l'art.  6-bis  della
legge 8 novembre 2012 n.  189  (legge  di  conversione  del  d.l.  13
settembre   2012   n.   158)   dichiararsi   l'improcedibilita'   del
pignoramento  effettuato.  Controdeduceva  il  creditore   procedente
sollevando, tra  l'altro,  sospetti  di  legittimita'  costituzionale
della centrata normativa. 
    Il G.E. assuntane la rilevanza  -  in  ragione  della  necessaria
applicabilita' della stessa ai  fini  della  decisione  del  presente
giudizio -  ne  passa  a  valutare  la  fondatezza  (rectius  la  non
manifesta  infondatezza).  Simile  valutazione  verra'  evidentemente
guidata dal  conclamato  orientamento  di  Sezione  (cfr  ex  multiis
ordinanza dott. Rossi  del  18  novembre  2011  R.G.A.C.  8623/11)  -
partecipato convintamente anche da questo  giudicante  -  e  dal  suo
adeguamento alla sopravvenuta modifica normativa (legge n. 189/12). 
    Resta in altre parole da valutare se le modifiche  introdotte  al
gia'   sospetto   (e   per   questo   devoluto   al    giudizio    di
costituzionalita') disposto normativo di  cui  all'art.  1  comma  51
legge  n.  220/10  (gia'  interessato  da  prime  modifiche  a  mezzo
dell'art. 17, quarto comma del d.l. 98/11  convertito  con  legge  n.
111/11)  confermino  l'operato  giudizio  di  fondatezza  ovvero   lo
escludano. 
    A tal fine e'  forse  consigliabile  una  breve  descrizione  del
risalente regime e delle sue  rilevate  criticita'  in  confronto  al
dettato costituzionale. 
    Gia'  prima  dell'ultimo  intervento   del   novembre   u.s.   il
Legislatore - al fine di consentire il superamento di una  situazione
di   criticita'   finanziaria   dell'amministrazione   sanitaria   in
specifiche  realta'  regionali  -  aveva  decisamente  imboccato   un
percorso finalizzato a riconoscere alle aziende sanitarie  locali  ed
ospedaliere delle regioni gia'  sottoposte  ai  piani  di  rientro  e
commissariate al 31 maggio 2010 un regime privilegiato  di  esenzione
dalle azioni espropriative loro dirette. 
    Siffatto  regime  si  sarebbe  concretizzato  nella  «temporanea»
inammissibilita'   di   espropriazioni   successive    all'originario
intervento  normativo  ovvero  di  improcedibilita'  di  quelle  gia'
pendenti.  In  ogni  caso,  era  stato  chiarito,  in  una  totale  e
definitiva   «sterilizzazione»   degli   effetti   della    procedura
espropriativa ancora non definitasi, e cio'  a  prescindere  dal  suo
momento introduttivo (ovvero sia esso risalente o meno all'entrata in
vigore della norma disponente). 
    Oltretutto  gli  effetti  caducatori  si'  insanabili  avevano  a
verificarsi  a  fronte  di  mere  caratteristiche  soggettive   (enti
sanitari di individuate regioni) per l'intero patrimonio (che  veniva
considerato tutto bene  strumentale  alle  finalita'  di  risanamento
finanziario),   a   prescindere    da    qualsivoglia    prescrizione
amministrativa vincolata (adozione di provvedimenti  di  ricognizione
dei  debiti  a  pena   di   decadenza   dal   privilegio)   assumendo
progressivamente  carattere  tutt'altro  che  temporaneo  (attesa  la
prassi  di  reiterazione  continuativa  ed  apodittica  del   termine
finale). 
    In  sostanza  al  fine  di  recuperare  situazioni  gestionali  e
finanziarie altamente squilibrate si e' inteso introdurre  un  regime
normativo (spesso ad iniziativa dell'esecutivo  con  decretazione  di
urgenza) di  potenzialmente  illimitato  privilegio  soggettivo,  del
tutto  scollegato  da  criteri  ed  elementi  vincolanti  dell'azione
amministrativa. 
    Anche  a  voler  considerare  il  fine  ultimo  della  introdotta
normativa un valore collettivo cui  piegare  diritti  soggettivi  dei
singoli,   siffatta    compressione    e'    apparsa    assolutamente
irragionevole, non giustificata e tutt'altro che temporanea. 
    Per l'effetto questo Tribunale ha ritenuto  di  rilevare  la  non
manifesta  infondatezza  di   incostituzionalita'   della   normativa
previgente alla legge n. 189/12 con riferimento ai seguenti principi:
a) art. 24 Cost.; b) art. 3 Cost.; c) art.  111  Cost.;  d)  art.  41
Cost.; con le motivazioni gia' al vaglio del Giudice di  Legittimita'
(udienza del 27 marzo 2013 registro  ordinanze  n.  58/12  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 16 del 18 aprile 2012). 
    Resta ora da valutare l'impatto sulle risalenti valutazioni delle
innovazioni normative avutesi a mezzo il  disposto  di  cui  all'art.
6-bis legge n. 189/12. 
    Questa norma consta di due distinte disposizioni sub a) e sub b). 
    Il punto sub a)  ancorche'  rilevante  nella  portata  precettiva
nulla aggiunge al regime gia' in  precedenza  operante.  Si  potrebbe
dire  che  l'innovazione  e'  quantitativa  e  non  qualitativa.   Il
Legislatore sostanzialmente «stabilizza»  ancor  di  piu'  nel  tempo
(31.12.13)  il  privilegio  accordato  all'amministrazione  sanitaria
(confortando  in  tal  modo  la  valutazione   giurisprudenziale   di
sostanziale illimitatezza gia' operata) e  risolve  positivamente  il
conflitto giurisprudenziale circa  l'inclusione  del  c.d.  «giudizio
amministrativo di ottemperanza», ancorche' lo stesso  appariva  ormai
in via di definizione e proprio in tal senso. 
    Ben piu' rilevanti sono invece le novita' introdotte al punto sub
b), ancorche' le stesse non sembrano incidere granche'  ai  fini  che
qui  interessano.  Dalla  corretta   esegesi   della   norma   emerge
chiaramente  la  volonta'  del  Legislatore  di   reimmettere   nella
immediata disponibilita' del debitore esecutato tutte  le  somme  lui
provenienti  da  rimesse  regionali,  ancora  attratte   da   vincoli
pignoratizi  e  prenotazioni  a   debito.   Con   ogni   probabilita'
l'intervento  e'  stato  dettato  dall'esigenza  di  superamento  dei
conflitti interpretativi che il testo meno  univoco  della  risalente
normativa lasciava aperti e che avevano consentito, a taluni istituti
tesorieri, di far perdurare (anche solo a fini cautelativi) i vincoli
in essere alla data di entrata in vigore della norma.  E',  tuttavia,
inequivocabile che simile disposto e' indirizzato non  al  magistrato
(per il quale  vige  immutata  la  prescrizione  di  declaratoria  di
improcedibilita'/inammissibilita' dell'azione espropriativa) ma  alla
regimentazione del rapporto terzo pignorato/debitore esecutato. Ne e'
dimostrazione il richiamo alla categoria atipica della «estinzione di
diritto»  riferito  a  fattispecie  meramente  endoprocedimentali  (i
vincoli derivanti  da  pignoramenti  e  prenotazioni  a  debito).  E'
infatti chiaro che l'utilizzo del  termine  «pignoramenti»  non  puo'
essere inteso in senso tecnico/procedimentale e cio' sia  perche'  si
porrebbe in contrasto con il precedente comma  (le  espropriazioni  o
sono inammissibili/improcedibili o estinte di diritto) e sia  perche'
non esiste una procedura  espropriativa  denominata  «prenotazione  a
debito»  che  la  normativa  parifica  negli   effetti   proprio   al
pignoramento. 
    In definitiva il Legislatore ha ritenuto  di  chiarire  al  terzo
pignorato che in  alcun  modo  potevano  essere  giustificate  quelle
interpretazioni normative che gli consentivano di trattenere le somme
provenienti  da  rimesse  regionali  e  che   le   stesse   andassero
prontamente   reimmesse   nella   piena   disponibilita'    dell'ente
addirittura «senza previa pronunzia giurisdizionale» affinche' costui
espletasse «le finalita' indicate nel primo periodo». 
    Evidenziata cosi la  portata  della  evoluzione  normativa,  deve
convenirsi sulla sua scarsa incidenza su quegli aspetti che ne  hanno
determinato la valutazione di non manifesta inammissibilita' ai  fini
della incostituzionalita', se non consolidandoli in termini  postivi.
Il Legislatore ha,  difatti  stabilizzato,  prorogandoli  in  termini
temporali, gli effetti, ha, quindi, trasfuso in legge  quei  concetti
gia'  elaborati  in  sede  giurisprudenziale   la   cui   progressiva
caratterizzazione in termini maggiormente  stringenti  aveva  indotto
questo Tribunale a promuovere l'incidente di costituzionalita'. 
    Sulla scorta della cennata innovazione legislativa  e'  divenuto,
difatti, espresso dato normativo quell'effetto caducatorio definitivo
sino ad allora ricavato  solo  a  livello  meramente  interpretativo.
Quindi il regime di esenzione e' stato espressamente esteso  al  rito
amministrativo  di  ottemperanza  -  e  cio'  a   prescindere   dalle
valutazioni  giurisprudenziali  relative  alla  sua   intima   natura
(esecutiva  o  cognitiva)  -  nella  fattispecie  di  esecuzione   di
giudicato di condanna. 
    A cio' consegue come, all'attualita', vada ribadito  il  pericolo
di  contrasto  della  normativa  vigente   su   tutti   gli   aspetti
costituzionali  gia'  rilevati,  ed  ulteriormente   stabilizzati   e
definiti, che si vanno analiticamente a richiamare: 
      Art. 24 -  dato  per  assunta  l'applicabilita'  del  principio
costituzionale al processo esecutivo inteso come fase necessaria alla
concreta realizzazione del diritto ne  va  evidenziata  la  probabile
lesione avendo riguardo ai seguenti rilievi. 
    La compressione del diritto di agire in giudizio  appare  abnorme
ove si consideri  il  carattere  assoluto  della  dispensa  sotto  il
profilo   oggettivo.   Non   vi   e'   difatti    dimostrazione    di
proporzionalita'  tra  il  valore  ultimo  che  si  dice   di   voler
salvaguardare e  l'oggetto  concreto  di  tutela  (intero  patrimonio
dell'ente).  L'assoluta  integrita'  patrimoniale  connessa  ad   una
esenzione «soggettiva» e' certamente una comodita', ma sicuro eccesso
di tutela ove non si provveda a rapportarla, in un nesso strettamente
eziologico, al fine che si  vuole  raggiungere.  Ne'  la  limitazione
imposta   appare   tollerabile   sotto   il   profilo    della    sua
«transitorieta'» soprattutto dopo  l'ennesima  proroga  che  prolunga
sino  al  31  dicembre  2013  (ovvero  43  mesi  continuativi   salvo
ulteriori) il termine finale. Simile tecnica legislativa appare,  per
dirla con il TAR Calabria - Reggio Calabria (ordinanza di  remissione
16  gennaio  2013  n.  42),  «un  meccanismo  elusivo  al  quale   il
Legislatore ricorre per rendere in apparenza  piu'  digeribili  delle
misure  legislative  volte  in  concreto  a   disattivare   a   tempo
indeterminato..... l'efficacia del diritto ordinario». 
    Sotto altro aspetto la lesione  del  precetto  costituzionale  va
ravvisata sotto il profilo della irragionevolezza della  disposizione
limitativa  del  diritto  ad  agire.  Cio'  soprattutto  in  sede  di
raffronto  con  risalenti  discipline  gia'  disponenti  vincoli   di
impignorabilita' di  beni  nella  disponibilita'  di  amministrazioni
sanitarie (d.l. 9/93 convertito in legge n. 67/93 si come  risultante
a seguito della pronuncia additiva Corte Cost. n. 285/95).  Non  puo'
sfuggire come in simile regime normativo la  tutela  «copra»  i  beni
(somme di denaro) strettamente strumentali  al  raggiungimento  degli
scopi  perseguiti  (pagamento  stipendi,  ratei  mutui  e  erogazione
servizi essenziali), sia preceduta da un provvedimento amministrativo
di impegno (delib.ne di quantificazione preventiva)  e  sia  comunque
condizionata  risolutivamente  dal  riscontro  del   loro   effettivo
virtuoso utilizzo. L'impignorabilita' e' destinata a venire meno  ove
l'ente  distragga  provviste  per   finalita'   ultronee   a   quelle
salvaguardate dalla legge (emissione  di  mandati  di  pagamento  per
titoli  diversi  a  quelli   vincolati   in   dispregio   dall'ordine
cronologico).  Solo  una  fattispecie  cosi'  strutturata  -  con  la
imposizione  di  attivita'   amministrativa   non   discrezionale   e
successiva  concreta  possibilita'  di  controllo   ex   post   della
effettuata  attuazione  della  finalita'  pubblicistica  -  e'  stata
ritenuta idonea al vaglio di costituzionalita', in  quanto  equamente
comparativa degli interessi in giuoco. 
    Nel  caso  di  specie  si  ravvisa,  viceversa,  la  mancanza  di
meccanismi  analoghi  (pur  potenzialmente  strutturabili),  il   che
comporta una assoluta sproporzione tra  gli  interessi  contrapposti.
Potenzialmente l'amministrazione sanitaria ben potrebbe giovarsi  del
combinato effetto di tanta tutela ed immutata  discrezionalita',  non
per onorare i suoi debiti, ma per sottrarsi ad essi «sine die». 
    Addirittura  al  creditore   postergato   non   sarebbe   nemmeno
consentito quel surrogato dell'azione giudiziaria  costituito  da  un
minimo controllo  di  legalita'  e  di  correttezza  sull'operato  di
ricognizione della p.a. debitrice. Costui a distanza di svariati anni
dalla introduzione del regime di impignorabilita', con il  quale  gli
e' stato d'autorita' imposto di pazientare, non  e'  stato  posto  in
condizione nemmeno di monitorare la stessa ammissibilita'  (ancorche'
sulla scorta di criteri obiettivi ed automatici) a  futuro  pagamento
della vantata posizione creditoria. 
    Ma la ravveduta ipotesi di incostituzionalita' emerge ancor  piu'
in costanza di espropriazione gia' intrapresa all'atto di entrata  in
vigore della legge n. 220/10. Il regime di vanificazione  retroattiva
di ogni effetto dell'azione esecutiva pendente (e quindi  validamente
introdotta «ratione temporis»)  -  disposto  ormai  positivamente  ed
inequivocabilmente - in conseguenza della prescritta declaratoria  di
improcedibilita', comporta un  chiaro  pregiudizio  anche  di  natura
patrimoniale. Apparira' evidente  che,  in  uno  alla  perdita  della
garanzia di  soddisfazione  della  partita  creditizia  azionata  (il
vincolo), il creditore si trova a dover sopportare gli oneri connessi
agli esborsi (spese e competenze di difesa) sostenuti  per  attivita'
processuali perfettamente legittime che non si sono  perfezionate  in
«tempo  utile»  per  le  eventualita'  piu'  disparate   e,   spesso,
indipendenti dalla sfera di influenza dell'attore. 
    Ne' l'inibizione giudiziale introdotta puo' essere ritenuta  (con
notevole  esercizio  di  interpretazione  analogica)  una   procedura
alternativa,  di  carattere  concorsuale,  che   si   sostituisce   -
comprimendola  nell'ottica  di  una  «par  condicio   creditorum»   -
all'azione individuale. Osta a tale interpretazione in primo luogo lo
scarno contenuto della norma  -  laddove  quando  il  Legislatore  ha
ritenuto di introdurre istituti similari ha elaborato  pienamente  ed
inequivocabilmente il relativo concetto -  e,  quindi,  l'analisi  di
quegli  elementi  qualificanti  di  cui  appresso,  la  cui   assenza
impedisce ogni sforzo interpretativo in tal senso. 
    In  primo  luogo  la  individuazione  di   un   ben   determinato
sbarramento  temporale  cui  limitare  il   regime   concorsuale   di
risanamento. Non si puo' in sostanza aprire una procedura concorsuale
consentendo al soggetto  insolvente  di  continuare  a  fare  debiti,
garantiti  dalla  protezione  concorsuale,  pendenti   le   attivita'
liquidatorie. Nello stesso dissesto degli enti locali la  data  della
sua dichiarazione  costituisce  il  discrimine  tra  le  obbligazioni
precedenti  attratte  dall'attivita'   liquidatoria   concorsuale   e
tutelate dall'inibizione di tutela giudiziaria  e  quelle  successive
disciplinate secondo un regime ordinario. 
    In secondo luogo la prescrizione di  un  articolato  procedimento
amministrativo/giudiziale di accertamento e liquidazione della  massa
passiva  caratterizzato  da  specifici  incombenti,  cronologicamente
cadenzati, e dalla presenza attiva di organi ed autorita'  terze,  il
tutto a tutela del  principio  della  par  condicio  cui,  in  ultima
analisi, e' piegato il diritto di credito individuale. E' proprio nel
rispetto degli eventi di procedura (ovvero  della  loro  correttezza,
tempestivita' e legittimita') che si  estrinseca  quel  controllo  di
legalita' ad opera del creditore singolarmente  inibito  cui  e',  in
ultima analisi, concesso rituale rimedio e facolta'  di  impugnativa.
ln  definitiva  la  disomogeneita'  e'  qualitativa  e  non  permette
analogia. Mentre la procedura concorsuale e' un limite finalizzato al
rispetto del  principio  della  par  condicio  creditorum  (e  quindi
indirettamente del creditore stesso), l'impignorabilita' ex  lege  n.
220/10 e' un  limite  finalizzato  alla  esclusiva  tutela  di  parte
debitrice. 
    Art. 3, comma I - detto precetto  appare  oggetto  di  violazione
sotto un duplice aspetto. 
    In primo luogo in quanto a fronte  della  improcedibilita'  della
presente azione esecutiva il diritto di credito,  oltretutto  fondato
su titolo giudiziario esecutivo ed avente  valore  di  giudicato,  e'
subordinato  all'adozione  di  atti  amministrativi   aventi   natura
previsionale e programmatica la cui adozione non e' nemmeno imposta a
pena di decadenza dalla tutela (e quindi  meramente  eventuale).  Per
l'effetto  il  creditore,  ove  radicato  nelle  specifiche   realta'
regionali, si trova nella sostanziale  impossibilita'  di  realizzare
liberamente la propria  attivita'  economica  onde  ricavarne  giusto
profitto (si rammenti che specifiche attivita'  economiche  impongono
esclusivita' commerciale in ragione di  collocazione  territoriale  -
ad. es.  farmacie  e/o  strutture  accreditate).  Cio'  in  tangibile
discriminazione con altre realta'  ubicate  in  altre  regioni  nelle
quali simile impedimento non sussiste. Realta' oltretutto tra di loro
in diretta concorrenza quantomeno sotto il  profilo  dei  prezzi  (si
rammenti il concetto dei costi standard della p.a.) e  dei  costi  di
approvvigionamento dai medesimi grossisti (il tempo di  pagamento  e'
grandezza  economicamente   valutabile   nei   rapporti   commerciali
continuativi). 
    In secondo luogo rispetto ai soggetti cui la  norma  e'  rivolta,
che sono individuati, non  in  considerazione  della  loro  effettiva
necessita' di tutela ai  fini  del  raggiungimento  del  riequilibrio
economico finanziario, ma in base alla mera collocazione  geografica.
Siffatto criterio si rileva palesemente grossolano e si  riconduce  a
quella carenza di proporzionalita' gia' illustrata. E'  risaputo  che
specifiche amministrazioni sanitarie ancorche' rientranti  in  ambiti
regionali  compromessi  non  versino,  ne  abbiano  mai  versato,  in
difficolta' economiche. 
    Art.  111  -  Simile  eguale  trattamento  normativo  di  realta'
disomogenee avvalora quella ricostruzione giuridica  di  ravvisamento
di un vero e proprio sistema di  privilegio  processuale  ove  l'ente
pubblico  (oltretutto  parte  attiva  dell'introduzione  della  fonte
sospetta - cfr i testi concordati in sede di conferenza stato regione
e le ripetute iniziative normative quasi  sempre  ad  iniziativa  del
governo ente commissariante) sovverte le condizioni  ordinarie  della
dinamica processuale esecutiva si' come delineata dal codice di rito.
Sovvertimento ancor piu' irragionevole tenuto conto  dello  specifico
rimedio  della  impignorabilita'  finalizzato  all'espletamento   dei
servizi pubblici essenziali (ex d.l.  9/93  e  succ.  modifiche  gia'
citato) espressamente consentito alle aziende sanitarie, che continua
ad operare e si cumula - con conseguenze esponenzialmente deleterie -
a  quello  attualmente  oggetto  di  analisi.   Oltretutto   siffatto
preesistente rimedio,  correttamente  modulato,  ben  avrebbe  potuto
assicurare lo stesso fine del  riequilibrio  si'  sproporzionatamente
perseguito. 
    D'altronde la violazione del principio  del  giusto  processo  e'
ravvisabile, oltre che nella disparita' delle armi tra i  contendenti
in lite, anche in relazione  alla  ragionevole  durata  del  processo
stesso. Non potra' non convenirsi che i gia' citati  43  mesi,  salvo
ulteriori prevedibili  proroghe  (che  vanno  saldati  ad  altri  due
risalenti con minima soluzione di continuita' - cfr.  art.  1,  comma
23-vicies d.l. 30 dicembre 2009 n. 194 poi modificato  con  legge  26
febbraio 2010  n.  25),  costituiscono  una  gravissima  lesione  del
precetto costituzionale. Cio' anche in considerazione  della  assenza
di previsione normativa di alcun meccanismo di garanzia del fornitore
quando  costui  subisce   a   sua   volta   (legittime)   aggressioni
giudiziarie. Anzi in tal caso i  successivi  interventi  normativi  -
anche di iniziativa comunitaria - volti ad incalzare e penalizzare  i
ritardi  nell'adempimento  delle   transazioni   commerciali   e   la
riscossione di tributi e contributi da parte dell'erario,  colpiscono
oltremodo  chi  incolpevolmente  non  riesce  a   recuperare   quella
provvista necessaria a far fronte alle contratte esposizioni. 
    D'altronde e' ormai acclarato come la valutazione  in  ordine  al
concetto di ragionevolezza vada  connesso  non  gia'  alla  specifica
vicenda processuale (eventualmente terminata con celere  declaratoria
di improcedibilita'), bensi' con riferimento alla pretesa sostanziale
fatta valere in giudizio, ossia  sul  tempo  processuale  globalmente
occorrente ad ottenere la concreta realizzazione del bene della  vita
per cui si e' invocata tutela, essendo  totalmente  indifferente  che
per quella pretesa sia stato necessario proporre in  successione  una
pluralita' di azioni. 
    Art. 41 - Si ravvisa inoltre una lesione al principio di liberta'
nell'esercizio della iniziativa economica  privata.  L'impossibilita'
anche solo temporanea (ci si figuri nell'accezione che il termine  ha
di fatto assunto) di conseguire coattivamente una pretesa  pecuniaria
da parte dell'imprenditore - che oltretutto spesso opera in regime di
quasi esclusivita' con  l'amministrazione  sanitaria  -  e'  elemento
disgregante l'esercizio di impresa. Si  interrompe  di  fatto  quella
catena che consente all'operatore  intermedio  di  conseguire  quella
provvista  necessaria  a  rifornirsi  dei  beni  strumentali  al  suo
servizio  economico  cosi'  travolgendo  la  sua   stessa   capacita'
economica. D'altronde l'impossibilita' gia' riferita di  poter  anche
solo controllare la ammissibilita' del credito vantato,  in  sede  di
ricognizione amministrativa (di  fatto  mai  avviata  non  avendo  la
opponente fornito prova di aver adottato simile incombente) impedisce
addirittura la mera pianificazione della propria attivita'. Lo stesso
ricorso al credito e' di fatto inibito dalla  indisponibilita'  degli
intermediari finanziari (banche e/o factoring) a rischiare risorse in
mancanza di certezze circa l'an ed  il  quantum  della  restituzione.
Tutto cio' come detto in un  sistema  complessivo  che,  giustamente,
impegnato sempre piu', a garantire  (ad  altri)  la  celerita'  e  la
facilita' di riscossione, si risolve, esso stesso,  in  un  ulteriore
ostacolo all'attivita' di quell'operatore economico rapportatosi  con
l'amministrazione sanitaria agevolata. 
    Art. 77, comma II - e' rilevabile,  inoltre,  una  violazione  di
carattere  metodologico  connesso  alla  assoluta   estraneita'   del
precetto normativo di cui all'art. 6-bis legge n.  189/12  (legge  di
conversione) al testo originariamente disposto dal  d.l.  158/12.  In
sostanza, la illustrata normativa di proroga e  di  inasprimento  del
regime di impignorabilita'  e'  stato  introdotto  solo  in  sede  di
conversione (emendamento  6.01  a  firma  dei  relatori  Barani-Turco
discusso ed approvato in sede referente dalla XII Commissione «Affari
Sociali» della Camera dei Deputati), nel corpo  di  un  provvedimento
normativo dal contenuto palesemente disomogeneo ed in un contesto  di
assenza di quei requisiti  di  necessita'  ed  urgenza  imposti  alla
tipologia della fonte. Per giurisprudenza ormai consolidata, la Corte
Costituzionale ha individuato «tra gli indici alla stregua dei  quali
valutare se risulti evidente o meno la carenza  del  requisito  della
straordinarieta' del caso di necessita' e d'urgenza di provvedere, la
evidente estraneita' della  norma  censurata  rispetto  alla  materia
disciplinata da altre  disposizioni  del  decreto  legge  in  cui  e'
inserita»  (cfr  sent.  n.  22  del  16  febbraio  2012   richiamante
espressamente risalente  171/07  e  128/08).  Deduce  il  Giudice  di
Legittimita' che «l'inserimento di  norme  eterogenee  all'oggetto  o
alla finalita' del decreto spezza il legame logico giuridico  tra  la
valutazione fatta  dal  governo  dell'urgenza  del  provvedere  ed  i
provvedimenti provvisori con  forza  di  legge,  di  cui  alla  norma
costituzionale  citata.»  E  conclude  che  «si  deve  ritenere   che
l'esclusione  della  possibilita'  di   inserire   nella   legge   di
conversione di  un  decreto  legge  emendamenti  del  tutto  estranei
all'oggetto ed alla  finalita'  del  testo  originario  non  risponda
soltanto ad esigenze di  buona  tecnica  normativa,  ma  sia  imposta
dall'art. 77,  secondo  comma  Cost.,  che  istituisce  un  nesso  di
interrelazione funzionale tra decreto legge, formato dal  Governo  ed
emanato dal Presidente della  Repubblica,  e  legge  di  conversione,
caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare  rispetto
a quello  ordinario».  In  definitiva,  la  violazione  del  precetto
costituzionale non deriva dalla concreta assenza dei  presupposti  di
necessita' ed urgenza delle norme eterogenee introdotte  in  sede  di
conversione, ma «.... per l'uso improprio, da parte  del  Parlamento,
di un potere  che  la  Costituzione  gli  attribuisce,  con  speciali
modalita' di procedura, allo scopo di convertire, o non, in legge  un
decreto legge.» E la circostanza non appaia di scarsa importanza e di
mero formalismo, ove si considerino  le  peculiarita'  procedimentali
che il dettato costituzionale consente  alla  fonte  di  conversione.
Innanzitutto il disegno  di  legge  di  conversione  appartiene  alla
competenza riservata del Governo, che deve presentarlo alle Camere il
giorno stesso  della  emanazione  del  decreto.  Anche  i  tempi  del
procedimento sono particolarmente rapidi, giacche' le  Camere,  anche
se sciolte, sono convocate appositamente e si riuniscono entro cinque
giorni.  Gli  stessi  regolamenti  delle   Camere   prevedono   norme
specifiche mirate a calendarizzare i lavori, in modo di consentire la
conversione in legge entro  il  termine  costituzionale  di  sessanta
giorni. E' di tutta evidenza come non puo' essere  costituzionalmente
legittimo utilizzare un mezzo si' spedito per veicolare quel  che  la
mera contingenza consiglia. 
    Nel caso di specie emerge palese  la  ultroneita'  dell'argomento
successivamente introdotto  ed  afferente  concetti  di  proroga  del
regime di esenzione dalle azioni esecutive  promosse  in  danno  agli
enti   sanitari,   rispetto   alla   norma   originaria    contenente
«disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del  paese  mediante
un piu' alto  livello  di  tutela  della  salute  -  C.  5440».  Tale
disciplina  afferiva  precipuamente  una  migliore  organizzazione  e
razionalizzazione dell'attivita' assistenziale e sanitaria e,  non  a
caso, veniva  affidata,  in  sede  referente,  alla  Commissione  XII
«Affari Sociali» della Camera. 
    Ove  cio'  non  convincesse  completamente  e'   forse   decisiva
l'analisi dei lavori preparatori della stessa, nell'ambito dei quali,
in sede di  seduta  di  approvazione  dell'emendamento  specifico  (4
ottobre  2012),  ben  quattro  componenti  si  premuravano   avanzare
perplessita' circa la  materia  trattata.  Chi  per  ricondurla  alle
competenze di altra Commissione  (bilancio)  chi  per  rilevare  come
«l'articolo aggiuntivo rechi misure pertinenti  propriamente  ad  una
legge di stabilita'». 
    D'altronde tutte le molteplici precedenti attivita' normative  di
introduzione e proroga dell'istituto sono  sempre  state  adottate  a
mezzo  leggi  di  stabilita'  ovvero  manovre   correttive   e/o   di
stabilizzazione dei conti pubblici e, sempre, espressamente  previste
gia' in sede di decretazione di urgenza e poi oggetto di conversione.
Non sfugga poi la ulteriore circostanza confermativa costituita della
introduzione di testo assolutamente analogo in  sede  di  disegno  di
legge  di  stabilita'  anno  2013,  testo  poi  abrogato,   a   mezzo
l'approvazione di successivo emendamento, per essere gia' vigente con
l'entrata in vigore della legge n. 189. 
    Tutte le argomentazioni sin qui evidenziate convincono della  non
manifesta infondatezza della questione di illegittimita' dell'art. 1,
comma 51, legge n.  220/10,  si'  come  risultante  a  seguito  delle
modifiche apportate dalla legge n.  189/12,  per  contrasto  con  gli
artt. 3 comma I, 24, comma I, 41, 111 comma II e 77  comma  II  della
Costituzione nella misura in cui vieta di intraprendere e  proseguire
le azioni esecutive nei confronti  delle  regioni  commissariate  per
disavanzo nel settore sanitario. 
    Rinviando, per quanto attiene la delibazione circa  la  rilevanza
della questione di legittimita' costituzionale a quanto in limine  di
provvedimento  rilevato,  si   ribadisce   come   solo   a   siffatto
pronunziamento di incostituzionalita'  possa  conseguire  il  rigetto
delle eccezioni sollevato dalla  opponente  ASL  Napoli  1  Centro  e
l'assegnazione  giudiziale  dei   crediti   vantati   dal   creditore
procedente. 
    Viene   pertanto   sollevata   alla   Consulta    la    soluzione
dell'incidente di costituzionalita' con le modalita' di cui  all'art.
23 legge 11  marzo  1957  n.  83,  e  per  l'effetto  si  dispone  la
sospensione della presente procedura. Tale  decisione  e'  assorbente
ogni altra sollevata questione.